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Ho visto il muro.
di Angelica Calò Livnè.

Tornavamo da Eilat la citta' piu' a sud d'Israele, la' e' estate gran parte dell'anno. Il pulman e' carico di ragazzi con le loro famiglie che ritornano in Galilea, a casa. E' appena terminato il grande torneo annuale di Triathlon. L'autista chiede se qualcuno e' contrario a prendere l'autostrada numero 6, quella che rasenta i villaggi palestinesi.

Nessuno risponde, certe domande sono retoriche, in Israele nessuno esita a passare per il centro di Tel Aviv o davanti alla pizzeria Sbarro a Gerusalemme se ce n'e' bisogno. Dopo qualche km appaiono gruppi di case bianche sparse sulle colline e si intravedono tra i tetti moschee e minareti. A tratti si erge un muro di cemento di un metro forse. "E' "il Muro", mi dice Olsen, il papa' di Ina una ragazzina cirkassa che si allena con i nostri figli. E' un normalissimo muro come quelli che si costruiscono davanti alle autostrade o alle ferrovie per attutire i rumori, ma guardarlo mi rende inquieta….se ne parla cosi tanto in tutto il mondo!!!! Olsen che e' un poliziotto mi dice: "Quella e' Calkiylya, la cittadina palestinese da cui sparavano sulle automobili israeliane che percorrevano quest'autostrada. Qualche mese fa hanno ucciso una bambina di 4 anni e ferito la sorella di dodici mesi proprio qui davanti. Il "Muro" e' di cemento solo a tratti, come qui, da dove di solito sparano. Il resto e' una rete che se viene toccata da' dei segnali che permettono di localizzare il punto da cui qualcuno sta' tentando di entrare. "Davanti a Kfar Kassem il Muro non c'e' ancora" - mi dice Olsen – "Ieri sera per 4 ore Tel Aviv e' rimasta paralizzata, un allarme, due terroristi erano usciti dal villaggio pronti per un attentato, sono iniziate ricerche febbrili. La polizia ha dato ordine alla popolazione di rientrare a casa, le strade erano deserte. Alle 23,00 hanno comunicato alla radio, con messaggi Sms e alla TV che l'allarme era finito e tutto e' ritornato alla normalita' come se nulla fosse accaduto! E' cosi, ci siamo abituati, succede quasi ogni giorno. La "barriera" e' una rete di divisione che si prefigge di bloccare chi si infiltra per compiere attentati e dove c'e pericolo di spari su civili la rete viene sostituita da questo muro. Sventiamo decine di attentati ogni settimana e su questa autostrada finalmente si e' tornati alla normalita'!"

Altra rete, forse dieci km. L'autostrada costeggia la zona dove dovra' nascere lo Stato palestinese. Sul muro c'e' una torretta di controllo. "Che altro si puo' inventare per bloccare il terrore? Per cercare di proteggere la popolazione? Intorno ai villaggi palestinesi non ci sono muri!" Aggiunge il poliziotto. "Non si tratta di un recinto per non farli uscire dai loro villaggi ma di un confine di protezione tra Israele e il futuro Stato palestinese!"

Questo "muro" cosi controverso sta' sconvolgendo la serenita' di molti israeliani, non solo del mondo…come vorrei che non esistesse, che non ce ne fosse bisogno, che se ne possa fare a meno! Samar, la mia amica palestinese dice che molte persone al di la' di quella rete sono pronte ad aiutare i suoi bambini dell'orfanotrofio di Betania al momento del bisogno , quando c'e' un malato o qualcuno che ha bisogno urgente di aiuto i soldatini israeliani di 20 anni che stanno di guardia nella torretta, non esitano a farlo passare e persino a trasportarlo all'ospedale…ma di queste cose non si sa nulla. E' un'altra la barriera che dovrebbe preoccupare i sogni del mondo.

La barriera dell'odio. La barriera che innalzano capi di stato che preferiscono sacrificare la propria gente, piuttosto che accettare l'aiuto di un Paese che vorrebbero distruggere, come in Iran. Migliaia di persone muoiono sotto le macerie per una terribile catastrofe e loro si rifiutano di ricevere aiuto dai sionisti, che sono accorsi in tutto il mondo con la propria esperienza in catastrofi. Capi di stato che continuano spietatamente a sovvenzionare chi si suicida per uccidere altra gente.
Un muro di cemento si distrugge in un giorno…ma un muro di odio? Quante generazioni ci vorranno per abbatterlo? Quanta sofferenza ancora?

Dr. Angelica Calo' Livne'

 

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