L' amicizia impossibile tra un'
insegnante di kibbutz e la «mamma» di un orfanotrofio della Cisgiordania
Angelica, Samar e il teatro dei miracoli
Bambini arabi ed ebrei fatti recitare insieme: così è nata una tregua sulle
barricate
DAL NOSTRO INVIATO BETANIA (West Bank) - A dividere il
piccolo teatro di kibbutz dalla casa d' accoglienza di Betania ci sono molti
chilometri d' autostrada, il lago di Tiberiade, poi la valle del Giordano. E i
cecchini. E il muro di Sharon. E i doppi giochi di Arafat. E i checkpoint che
ingabbiano West Bank. E l' odio della seconda Intifada. E, alla fine, la Storia
con la esse maiuscola. Angelica e Samar sono riuscite ad attraversare tutto
questo con un abbraccio che dura da due anni. Tra i frutteti e le torrette
militari nel nord di Israele, al confine col Libano degli hezbollah, in quel
piccolo teatro che si chiama Arcobaleno, Angelica Calò Livnè insegna a recitare
la pace a ragazzini ebrei, arabi, circassi, drusi, cristiani, musulmani; prega a
ogni attentato, a ogni rappresaglia, «mio Dio, scaccia l' odio, facci rimanere
quello che siamo». Dice: «Cercavo da tanto un' amica palestinese, una come me.
Mi hanno parlato di lei, un giorno le ho telefonato, l' ho incontrata: anche tu
devi assolutamente incontrare Samar, è speciale». Sommersa dal mucchio selvaggio
dei suoi bambini (lei li chiama «i miei figli») all' orfanotrofio Jeel El Amal
di Betania, che ha ereditato dai genitori e ingrandito in un rifugio ancora più
temerario - Lazarus Home - in cui si nascondono pure ragazze madri che la
società palestinese condannerebbe senz' appello, Samar Sahhar è speciale
davvero. Sorride: «Angelica è diventata mia amica, poi mia sorella. Dio ci ha
fatte uguali». Questa è la storia di un' amicizia quasi vietata dalla ragion
politica, la storia con la esse minuscola di un' israeliana e una palestinese
che forse Dio ha fatto davvero uguali ma che parrebbero quasi opposte: minuta e
tutta nervi Angelica, boccoli neri e lunghe ciglia che s' inumidiscono per un
nonnulla; quadrata e inaffondabile Samar, capelli corti e braccia da camallo
della fede. Solo con più attenzione si coglie quel loro sguardo, identico, e
allora si capisce che quando si chiamano «sorelle» non è tanto per dire.
Mercoledì scorso si sono ritrovate a Roma, al teatro Vittoria, davanti a
seicento ragazzi di sette licei. Prima dello spettacolo che Angelica sta
portando in giro per l' Italia, «Bereshit, In principio», coi suoi diciotto
giovanissimi attori che danzano coperti da maschere bianche e recitano frasi
come «non c' è nessun posto sicuro! Dev' esserci una soluzione... una
speranza!», Samar è salita sul palco. Nemmeno Angelica se l' aspettava. Si sono
abbracciate così, davanti ai ragazzi romani che non capivano, poi Samar ha detto
che «se tutto il mondo vedrà questo spettacolo tutti sapranno che la pace si può
fare». Alla fine, prima di esplodere in un lungo applauso, gli studenti sono
rimasti tre minuti senza parole. La piccola storia testarda di Angelica e Samar
è invece piena di parole. Con le parole Angelica - una romana di 47 anni che
appena ragazza è andata a vivere a Sasa, uno degli ultimi kibbutz ancora fedeli
agli ideali socialisti delle origini - ha insegnato a Batya e Nemi, Amal e
Sharif e a tutti gli altri allievi del laboratorio teatrale di Kerem Ben Zimra
che si può fare qualcosa, «che non basta piangere davanti alla televisione». L'
idea di «Bereshit», quelle maschere bianche che cadono sul palco «svelando la
bellezza di ogni diversità», accompagnate dalle canzoni di Noah («è finita, è
tutto passato, toccheremo il sogno»), è nata dai ragazzi, lavorando per sei mesi
con loro. «Quando ne parlai la prima volta al consiglio regionale dell' Alta
Galilea, quando dissi che volevo anche ragazzi arabi, mi dissero, "beh, l' idea
è buona, però con l' Intifada, capisci, politicamente, non è il caso, gli arabi
lasciali perdere". Risposi: "O loro o niente". Ci è andata bene». Uno dei suoi
attori, Sharif Balut, un ragazzone arabo del villaggio di Fassuta, ha preso così
sul serio il copione che è riuscito a far scoppiare la pace, quella vera, tra i
suoi compaesani e i ragazzi ebrei di Elkosh: «Eravamo alla guerra tra bande, ma
sulla loro barricata ho notato Ofri - racconta - che un giorno era venuto a
vedermi a teatro. Mi sono fatto avanti. Gli ho detto: ti ricordi di me, amico?
Si ricordava, sì. E tutti assieme abbiamo fatto la sulha, che significa
riconciliazione sia in arabo che in ebraico». Anche Samar, nei due rifugi
gemelli ai lati di una polverosa strada di Betania, lavora con le parole: parole
da mamma o da sorella maggiore, per i 70 bambini di Jeel El Amal («Generazione
della speranza»), le 33 bambine di Lazarus Home e le donne che, nascoste all'
orfanotrofio, trovano riparo dai loro guai - in questo momento sono tre, una
prostituta, una appena uscita dal manicomio e una che ha ucciso il suo
stupratore. Samar ha 42 anni, è cattolica, la prima pietra del primo rifugio è
stata messa da Alice, sua madre, tanti anni fa. «Sono consacrata con i Memores
Domini», dice. Non ha una famiglia sua. «Ma i miei figli sono questi». Abdallah,
10 anni, moncherini al posto delle mani, portato lì che non parlava neppure
(«ora è il più bravo della quarta elementare») le ha chiesto: «Mamma, come fanno
le mucche e le pecore a mangiare, se c' è la guerra?». Tutti assieme, coi
bambini raccolti nei campi profughi di Ramallah, di Betlemme, di Tulkarm, hanno
deciso che mucche e pecore devono riprendere a mangiare, quindi la guerra deve
finire. Samar ci mette del suo: «Un orfano non ha nessuno, quindi i ragazzi
della strada sono tutti abili e arruolati per l' Intifada. I miei no. Non voglio
che i miei figli muoiano o uccidano», sbotta. Contro reclutatori e Autorità
palestinese combatte così la sua invisibile guerra, pagando dazio. Ha aperto una
panetteria in paese per raccogliere fondi, ma da un anno non le allacciano la
corrente elettrica. La gente della strada ha firmato una petizione per chiudere
l' orfanotrofio «che nasconde le donnacce». Se lei mollasse, «le donnacce»
verrebbero probabilmente lapidate. Quindi tiene duro. E stringe a sé gli ultimi
piccoli arrivati, Safiria, 6 anni, trovata in un pollaio piena d' ustioni,
Nanni, 7 anni, ch' era incatenato in una grotta a Betlemme. Coccola Nahla, 14,
che ha una lunga cicatrice sulla fronte ma è un cannone in scienze e va alle
manifestazioni di Peace Now. «Cantiamo insieme, habibti, amori miei», dice. Dal
refettorio si alzano voci di cristallo, «Ya raba salam/ imnan biladana salam,
Dio della pace/ dà la pace alla nostra terra», e arrivano fino alla lavanderia
governata da Alia, la donna che ha ucciso il suo violentatore. I parenti di lui
la cercano da quando è uscita di galera. Ha una faccia incartapecorita. Dice:
«Sono brava a lavare, sai? Però ho sempre mal di gambe, mal di tutto». Samar le
accarezza una mano, «passerà, vedrai, passerà tutto». Aspettando che tutto
passi, Samar e Angelica hanno riempito questi due anni d' amicizia. Il primo
incontro a Gerusalemme est, il secondo al Muro del Pianto. Insieme hanno girato
scuole e università d' Italia, preso premi, partecipato a dibattiti dal titolo
«La sfida di due donne». L' anno scorso «Excalibur» ha dedicato loro venti
minuti di speciale. Presto due ragazzi dell' orfanotrofio si aggregheranno alla
compagnia dell' Arcobaleno. Ma non è sempre facile. All' università di Bari sono
andate a dire «siamo due amiche, non Sharon e Arafat» e qualcuno s' è sdegnato:
«Volete scherzare? Non basta un' amicizia per fermare la guerra». Per tipi
simili Samar ha una storiella: «Un uomo vide un uccellino steso sul dorso.
"Perché stai così?", gli chiese. E quello: "Ho sentito che oggi Dio scaglierà il
cielo sulla terra, sto cercando di proteggere la terra". L' uomo rise: "Sul
serio? Cerchi di salvare la terra con le tue minuscole zampette?". L' uccellino
rispose: "Io voglio fare del mio meglio!"».
Goffredo Buccini 3/fine
Speranze dal palco IL TEATRO Arcobaleno, è in Israele al
confine col Libano: Angelica Calò Livnè, nata a Roma, fa recitare piccoli ebrei,
musulmani, cristiani L' ORFANOTROFIO Samar Sahhar è l' anima di «Lazarus Home»,
casa di accoglienza a Betania, Territori Occupati LO SPETTACOLO «Bereshit» (In
principio): intorno al tema della pace possibile, 18 baby-attori che Angelica
porta in giro per l' Italia
Buccini Goffredo
Pagina 13
(2 dicembre 2003) - Corriere della Sera
Archivio
- Teatro Arcobaleno-Rainbow Theatre - MASKS OFF -
Un Progetto della Fondazione Beresheet La Shalom Foundation.
Archivio
- Teatro Arcobaleno-Rainbow Theatre - MASKS OFF -
Un Progetto della Fondazione Beresheet La Shalom Foundation.
|